C’è un momento, ogni anno, in cui la neve inizia a cambiare stato e significato. Da deposito invernale diventa acqua liquida, pronta a fluire verso valle. È il passaggio critico tra accumulo e fusione: un confine stagionale che condiziona la disponibilità idrica, l’agricoltura, l’energia e, in fondo, la vivibilità dei territori. Aprile, in Italia, segna l’inizio di questo spartiacque. E con esso, il quinto aggiornamento mensile sulla neve curato da Fondazione CIMA, che fotografa lo stato della risorsa idrica nivale lungo tutta la penisola. I dati, come sempre, parlano chiaro: il deficit nazionale di Snow Water Equivalent (SWE) in Italia è ancora del -34%. Ma il quadro, pur segnato da criticità, mostra segnali di recupero. È una rimonta parziale, sì, ma significativa.
Una rimonta trainata dal nord
A fare la differenza, nelle ultime settimane, è stato un “cambio di rotta” atmosferico. Nella seconda metà di marzo, gran parte dell’Italia (fatta eccezione per Sicilia e Calabria) è stata interessata da precipitazioni abbondanti, accompagnate da temperature inferiori alla media, soprattutto sull’arco alpino occidentale. È qui, al nord-ovest, che si è registrata la maggiore reattività del manto nevoso. Le Alpi hanno saputo sfruttare la finestra meteorologica, accumulando nuova neve e riducendo, almeno parzialmente, il deficit.


Il Po, bacino idrografico più esteso del Paese e custode di quasi la metà della risorsa nivale italiana, è oggi il fiume con le condizioni migliori: il deficit è sceso al -15%, rientrando nella variabilità naturale osservata negli ultimi anni. Ma la stagione di fusione è ormai iniziata, e il margine per ulteriori miglioramenti si assottiglia.
Diversa la situazione sull’Adige, dove il deficit si attesta al -37%. Anche qui marzo aveva regalato un recupero, ma le temperature elevate degli ultimi giorni hanno già innescato una fusione anticipata, che riporta i valori in calo.
«È l’innalzamento termico, più che l’assenza di precipitazioni, il protagonista di questa stagione fino ad oggi. Negli ultimi anni stiamo assistendo a un accorciamento del ciclo nivale: la neve arriva tardi, si fonde presto, e rimane meno tempo disponibile a contribuire al bilancio idrico», spiega Francesco Avanzi, ricercatore di Fondazione CIMA.
Appennini: un’assenza che pesa
Il racconto cambia radicalmente quando ci si sposta verso sud. Sugli Appennini, la neve è quasi assente a tutte le quote. Un dato eloquente: nel bacino del Tevere, il deficit di SWE raggiunge oggi il -89%. È un’anomalia severa, ancora peggiore rispetto allo stesso periodo del 2024.
L’unica eccezione parziale si registra sul versante adriatico, dove alcune nevicate recenti hanno portato un lieve miglioramento, in particolare nel bacino dell’Aterno-Pescara, oggi al -43%. Una differenza tra lati est e ovest che non sorprende data l’orografia e la climatologia della dorsale appenninica. Ma si tratta comunque di condizioni ben al di sotto della media storica.
Dal punto di vista della classifica stagionale, il nord si colloca in una posizione medio-bassa della classifica dal 2011. Il 2022 è stato l’anno peggiore dal 2011 per il nord-ovest, mentre il 2017 detiene lo stesso primato per il nord-est. L’annata attuale, pur non toccando quei minimi, non offre grandi rassicurazioni. Sugli Appennini, invece, ci troviamo in quella che chiamiamo “zona retrocessione”: una delle stagioni nivali peggiori dell’ultimo decennio.

Previsioni stagionali per l’Italia: le prospettive future
A rendere il quadro ancora più complesso sono le nuove previsioni stagionali dell’Agenzia ItaliaMeteo, disponibili per la prima volta con un dettaglio specifico per l’Italia1. Secondo queste previsioni, il resto di aprile dovrebbe essere più secco della norma al nord, e un po’ più piovoso della norma al Centro-Sud. Parallelamente, le temperature per aprile dovrebbero essere più fresche rispetto alla norma su tutto il territorio nazionale. Per i mesi successivi le temperature tenderanno a risalire fino a risultare ovunque superiori alla media, mentre le precipitazioni risultano in linea con la climatologia.


Nel breve periodo, questo significa una potenziale decelerazione della fusione, specialmente alle quote più alte. Contestualmente, però, l’assenza di nuove precipitazioni sopra norma al nord, se confermata, significa una sostanziale fine della stagione di accumulo 2024/25. «Quando parliamo di risorsa nivale, non possiamo però limitarci alla quantità di neve caduta: è la sua distribuzione nel tempo e nello spazio, insieme alle condizioni termiche, a determinarne l’effettiva utilità idrica. Una nevicata abbondante seguita da un rapido aumento delle temperature, per esempio, risulta meno efficace di una stagione moderata ma più stabile», spiega Avanzi.
In sintesi, siamo davanti a una stagione di transizione. La neve c’è stata, in parte. Le precipitazioni non sono mancate del tutto. Ma fino ad oggi è il caldo ad aver dettato le regole, con temperature che hanno in diverse aree del paese modificato la distribuzione temporale e spaziale della neve. Nei prossimi mesi si capirà quanto questa dinamica avrà inciso. Per ora, l’attenzione resta sulla fusione: sarà la rapidità del processo a determinare la reale disponibilità d’acqua a valle. E, con essa, la resilienza dei territori.
- A partire dalle previsioni a lungo termine di ECMWF, ItaliaMeteo applica un algoritmo che consente di avere un dettaglio spaziale maggiore e una calibrazione rispetto al passato, migliorandone la coerenza previsionale. ↩︎